La Storia sulla Scena attica del V secolo
Da due decenni almeno, il teatro attico conosce lo splendido revival che gli deriva dall’estetica della ricezione. Dopo le sperimentazioni delle avanguardie e l’attenzione per il gesto e per il corpo, la drammaturgia contemporanea sembra aver riscoperto la necessità delle storie e gli intrecci antichi sono tornati alla ribalta. Un filone di studi, secondario e riservato fino ai primi anni Ottanta, è esploso con grande ricchezza intorno alla lunga durata del teatro attico, in particolare della tragedia, nella memoria poetica, registica e attoriale dell’Occidente. Lo attestano, da una parte, le riscritture e le ri-messe in scena dei testi antichi, dall’altra, gli importanti saggi di drammaturgia comparata che accompagnano e assecondano le riprese teatrali.
Rispetto a questa scelta di lettura divenuta dominante, il nostro laboratorio, da qualche anno, procede in controtendenza. Invece che privilegiare i fattori di continuità – il mito, le relazioni elementari, i conflitti essenziali – stiamo focalizzando la nostra attenzione sui tratti più datati, meno traducibili e meno esportabili di quei testi drammatici.
Crediamo che un’analisi delle drammaturgie antiche iuxta propria pincipia, ora, alla luce delle riflessioni maturate nel secondo Novecento che ci hanno insegnato ad armonizzare filologia, formalismo strutturale e sguardo storico, possa risultare particolarmente feconda. Crediamo che sia la via più giusta per evitare strumentali devitalizzazioni dei testi teatrali antichi, ridotti a puri giochi di linguaggio, e per restituire loro la forza d’impatto culturale riconosciuta e temuta anche da Platone.
Proponiamo un incontro in cui ciascuno, lavorando con gli strumenti e i metodi critici di sua competenza, si impegni a rintracciare quanta e quale storia è stata assorbita dalla drammaturgia di V secolo, quali commerci i drammaturghi hanno avuto con il loro tempo, lasciandosi condizionare e cercando, a loro volta, di condizionare il corso delle cose e le azioni dei protagonisti.
Che cosa esprimevano quelle drammaturgie per il pubblico cui si rivolgevano senza mai presumere, a differenza della storiografia, alcuna idea di posterità?
Che cosa si poteva dire con la copertura delle maschere mitologiche e dell’espressionismo comico? Anche ciò che non poteva essere detto dagli storici e dai retori?
Quali temi sono sottesi al continuo reimpiego variato dei medesimi motivi drammaturgici come il riconoscimento tragico, la supplica, il gamos comico?
Quali drammi sociali strutturano gli intrecci, quali mutamenti si colgono dietro le riscritture dei medesimi soggetti tragici?
Quali spie testuali, nelle commedie di Aristofane, sul filo del costante cliché comico, ci consentono di risalire ai temi peculiari dell’Atene di fine secolo?
Forse saremo meno sorpresi dagli echi degli eventi epocali, come la battaglia di Salamina nei Persiani di Eschilo, o dai frequenti e puntuali giochi allusivi ai personaggi storici di grande rilievo, Alcibiade o Cleone. Potranno invece essere più illuminanti i riflessi dell’epoca, i temi e le revisioni dei temi operate di stagione in stagione, quelle tracce del tempo che gli storiografi passano per lo più sotto silenzio e che il teatro registra facendo da specchio al suo pubblico. Si tratterà, per noi, di farli emergere su base oggettiva: attraverso dati linguistici rigorosi – metrici, sintattici, lessicali – che documentino stratificazione storica e varianti d’autore nella lexis tragica e comica; attraverso le scelte narrative rilevanti – intrecci tragici, decostruiti e rimontati delle stesse vicende incentrate su pochi personaggi ricorrenti e sulle loro famiglie, e trovate comiche di eroi sempre in preda a un disagio e sempre alla ricerca di un benessere.