Il dibattito online

Poiché alcuni punti del dibattito sono stati ripresi da alcuni di noi e proposti a nuovi approfondimenti, riportiamo di seguito le osservazioni e invitiamo tutti alla continuazione del confronto.

Luigi Spina - 22 febbraio 2010

Vorrei definire un punto del dibattito che ci ha appassionato il venerdì sera e non è stato ripreso interamente il sabato mattina. Se ricordo bene, il problema era nato da una messa a punto di Xavier e poi da una domanda di Davide, che chiedeva di tener conto, o chiedeva se avevo tenuto conto, della posizione di Nicole Loraux. Aver indicato i miei contributi sull’hand-out significava ovviamente far riferimento alla bibliografia in essi citata (quindi Loraux compresa), per cui mi ero chiesto – mentalmente, da buon retore, prima di rispondere che avevo ben presenti i contributi della Loraux sul me mnesikakein e sull'oblio - se non mi fosse sfuggito qualche ulteriore contributo nel quale figurasse un argomento che metteva in discussione l’impianto del mio intervento (mi sembrava che la domanda avesse senso solo in questa direzione, anche perché non si chiariva, contemporaneamente, quale era la posizione della Loraux).
Di ritorno a Bologna, dopo un attento controllo, mi sento di confermare il contenuto della mia risposta, nel senso che, estendendo le letture dell’aneddoto un po’ dopo Plutarco, fino ad Ammiano, rimango convinto del fatto che:
1) nonostante sembri conseguenza evidente che la multa inflitta a Frinico per il ricordo dei mali familiari/comunitari abbia orientato la tragedia e i tragediografi successivi a cambiare prospettiva e a non far vivere più la storia sulla scena, se non attraverso il mito (in tutti gli aspetti che il convegno ha specificato), è altrettanto certo che nessuno ha più, negli anni successivi, fra drammaturghi e teorici, ricordato o affrontato il problema e soprattutto commentato l’episodio o la trama del dramma di Frinico, traendone spunti di riflessione paradigmatica sul rapporto tra storia e teatro. Dobbiamo dunque accontentarci delle riletture interessate di Plutarco e Ammiano;
2) sussiste il parallelismo fra inizio e fine V secolo, pur se con molte differenze di contesto politico e storico, parallelismo colto da Plutarco per esigenze della sua posizione politica;
3) l'indagine sul secolo di teatro intercorrente tra i due momenti, sub specie amnestias, è una traccia da percorrere, che si può riempire di tante caselle, ma che resta affidata alla nostra sensibilità di lettori ed esegeti moderni.
Questi sono i dati confermati, sui quali si basava l’impianto del mio intervento che, certo, per formazione culturale e propensione intellettuale, e probabilmente anche per limiti personali, non si avventurava in ricostruzioni affascinanti di quadri mentali antichi, unitari o complicati che siano. Il mio amico Maurizio Bettini mi ha insegnato che una delle possibili tentazioni degli antichisti è spesso quella del Besserwissen (saperne di più degli antichi). Per questo, forse, preferisco, dopo una puntuale analisi di un testo antico, riallacciarmi al presente, a quelli che chiamo cortocircuiti con esperienze dell’oggi, e che il testo antico fa spesso vedere sotto angolature nuove (e magari il percorso è anche inverso).
Spero che questa puntualizzazione possa servire a definire meglio un punto del dibattito; se poi la domanda era un’altra, il dibattito può ovviamente continuare.

Claude Calame - 26 febbraio 2010

Des raisons bien indépendantes de ma volonté m'ont fait manqué la table-ronde conclusie de la très riche rencontre autour de l'hsitoire sur la scène attique du Ve siècle. Je le regrette d'autant plus que les interventions présentées m'ont parfois laissé un sentiment de frustration et de malaise. Il me semble que de manière générale, sans doute par crainte de traiter les problèmes auxquels nous confrontent les sciences humaines, on assiste au retour d'une philologie assurément solide, mais très traditionnelle. Editeur, je suis bien convaincu que les questions d'établissement du texte ne sauraient être évacuées, mais elles ne doivent pas conduire à esquiver la confrontation avec les problèmes interprétatifs de fond qu'implicitement elles posent et que les sciences humaines nous invitent à développer, dans nos contacts avec les manifestations d'une culture tout de même bien différente de la nôtre.
Trop souvent en ces journées de Pavie, l'attention portée au texte uniquement fut un moyen, sans doute inconscient, d'éviter l'approche de la question, pourtant fort bien explicitée dans le descriptif du colloque, de la dimension historique et de la portée politique de la tragédie et de la comédie attiques. Cette retenue a fait que la question des interventions du choeur, celle du caractère rituel (masque, culte de Dionysos) de la représentation dramatique, celle des règles ou régularités de genre poétique, celle surtout de la référence symbolique et pragmatique à une conjoncture historique et politique particulière ont été pratiquement occultées, indépendamment ou non des sollicitations des "performative studies" anglo-saxonnes. Heureusement qu'il s'est trouvé au moins deux intervenants pour rappeler l'approche proposée par Diego Lanza dans Il tiranno e il suo pubblico, il y a désormais plus de trente ans...